Ipotensione permissiva: un motivo in più

Ipotensione permissiva: un motivo in più

In caso di assenza di emoderivati, utilizzare extend, o ringer (se l’extend manca), o soluzione fisiologica (se manca pure il ringer).
Ipotensione permissiva: un motivo in più

L’ipotensione permissiva non è una cura ma un trattamento emostatico. Per curare il ferito occorre riparare la falla e ripristinare il sangue perso. In caso di assenza di emoderivati, utilizzare Hextend, o ringer (se l’Hextend manca), o soluzione fisiologica (se manca pure il Ringer). Se il paziente, in ambito tattico o remoto, è cosciente e riesce a bere, meglio idratarlo per via orale e risparmiare le infusioni; queste sono le indicazioni del TCCC.

La medicina tattica, come quella remota, va a braccetto con il concetto della “rianimazione ipotensiva”, anche a causa delle scarse “risorse liquide” a disposizione dell’operatore. Nell’ articolo tradotto in seguito troviamo un motivo in più, per evitare la somministrazione di infusioni massive al nostro paziente, infusioni che andranno somministrate al solo fine di raggiungere dei target pressori che, se in ambiente ospedaliero si possono riassumere con pressioni di 70-90-110 mmHg (in base alla tipologia del trauma: chiuso o penetrante, cranico o non cranico, etc), nel PHTLS e nel TCCC, nella fase di TFC e TACEVAC, vengono sostituite con la comparsa del polso radiale o il ripristino della coscienza (in assenza di TBI).

Articolo originale:

Permissive Hypotension and Trauma: Can Fluid Restriction Reduce the Incidence of ARDS?

Kolarik, Melissa MSN, AGACNP-BC; Roberts, Eric DNP, FNP-BC, ENP-BC, Journal of Trauma Nursing: January/February 2017 – Volume 24 – Issue 1 – p 19–24, doi: 10.1097/JTN.0000000000000257

Ipotensione permissiva: si può ridurre l’incidenza dell’ARDS attraverso un’accurata rianimazione infusionale?

INTRODUZIONE

Le principali complicanze delle infusioni di grandi volumi sono i problemi coagulativi, il sovraccarico di liquidi, lo spostamento di essi nel terzo spazio e l’Adult Respiratory Distress Syndrome (ARDS), a causa dell’invasione dell’interstizio polmonare da parte di liquidi, che provoca deficit gravi nella ventilazione e nella perfusione, portando, a volte, alla morte del paziente.

STORIA DELLA RIANIMAZIONE DEL PAZIENTE TRAUMATICO

La rianimazione del paziente traumatico, con cristalloidi, è stata introdotta tra gli anni 50 e 60.

Dopo la guerra del Vietnam si iniziò a considerare la necessità di infondere grandi volumi di liquidi, poiché si comprese che i volumi persi, in caso di trauma, erano superiori alle sole perdite ematiche, e che tali liquidi dovevano essere rimpiazzati. La guerra apportò, inoltre, migliorie ai sistemi di soccorso EMS per esempio implementando l’utilizzo del trasporto via elicottero, ma anche introducendo nel trauma care extraospedaliero il concetto di valutazione primaria con il posizionamento di un accesso venoso e l’inizio di un’infusione di cristalloidi al fine di aumentare la pressione ematica.

Una volta aumentata la considerazione della gestione del trauma e del ruolo degli EMS, la ricerca medica iniziò a studiare l’argomento, producendo protocolli terapeutici. Numerosi studi rilevarono la rapida ridistribuzione dei liquidi infusi in diversi spazi anatomici, raccomandando un’infusione massiva di cristalloidi con un rapporto 3:1 tra le infusioni ed i volumi stimati di sangue perso. I sanitari iniziarono a seguire queste indicazioni, senza che esse fossero basate su evidenze scientifiche reali, nella gestione delle emorragie, poiché mai testate su modelli animali o umani, infondendo enormi volumi di liquidi e portando ad un incremento dell’incidenza dell’ARDS nei pazienti così trattati.

Le prime strategie terapeutiche, per la gestione dello shock emorragico, identificarono la necessità di utilizzare sia cristalloidi sia derivati ematici per rimpiazzare i volumi persi. I primi protocolli sulle trasfusioni massive (PTM) vennero utilizzato negli anni 70, ed essi provocarono, non intenzionalmente, un’emodiluizione correlata ai grandi volumi di cristalloidi infusi in attesa della disponibilità degli emoderivati, ovvero emazie concentrate associate ad emoderivati come piastrine, plasma e fattori della coagulazione.

L’approccio rianimatorio al trauma, nelle ultime decadi, è cambiato parecchio, con l’avvento di nuovi protocolli, con direttive sulla quantità di liquidi da infondere, come quello dell‘Advanced Trauma Life Support, che prevede l’utilizzo di boli di cristalloidi di 1-2 litri, nell’attesa della disponibilità degli emoderivati. Questi dovranno poi essere gestiti secondo protocolli trasfusionali, al fine di ridurre le infusioni di cristalloidi a favore di precoci emotrasfusioni; occorre ricordare che nei traumi multisistemici, solo il 25% dei casi richiede un’emotrasfusione, e solo il 2%-3% necessita l’attivazione di un Protocollo di Trasfusione Massiva.

Gli emoderivati  comportano uno shift di fluidi nel terzo spazio ridotto rispetto ai cristalloidi, e in linea di principio sembra consigliato infondere gli emocomponenti (emazie, piastrine e plasma)  in un rapporto di 1:1:1.

Un altro concetto emergente nella gestione del trauma, è l’utilizzo di plasma expanders ipertonici, al fine di aumentare il volume intravascolare con minori infusioni. La salina ipertonica può essereutilizzata, somministrata in piccoli volumi, poiché è in grado aumentare i volumi intravascolari più a lungo rispetto ai cristalloidi (ma con benefici sull’outcome del paziente non ancora ben dimostrati e tutt’ora controversi).

COMPLICANZE

Sebbene l’infusione di liquidi sia imperativa nella gestione dello shock, essa non è esente da complicanze poiché, una volta somministrati, i cristalloidi, in parte, tendono a spostarsi nello spazio extra vascolare ed in quello interstiziale (trans cellulare), causando edema dei tessuti e lesioni derivanti, come sindrome compartimentale addominale ed ARDS.

I liquidi raccolti nello spazio interstiziale, inoltre, possono causare danni endoteliali, aumentando le permeabilità vascolari, con ulteriore diluizione della componente proteica, causando una risposta infiammatoria sistemica, ed alterando il metabolismo cellulare, con effetti negativi sul sistema cardiaco, polmonare e coagulativo.

L’infusione massiva di fisiologia, può provocare un’acidosi ipercloremica, mentre il ringer lattato può portare ad un’acidosi lattica.

La ben nota “triade mortale” (acidosi metabolica, coagulopatia ed ipotermia) causate nel trauma dallo shock emorragico, si presume possa essere peggiorata dall’infusione eccessiva di cristalloidi; ricerche hanno dimostrato che l’infusione massiva di liquidi, mirata al ripristino di valori pressori normali, comporta un’emodiluizione dei fattori della coagulazione, una riduzione della viscosità ematica e la disgregazione dei coaguli. Il ciclo vizioso che si viene a creare, quindi, è rappresentato da un paziente emorragico cui sono infusi liquidi, che provocano un’attivazione infiammatoria, che porta a maggior permeabilità cellulare, causando ipotensione, a, e quindi una maggior richiesta di liquidi da infondere.

ACUTE RESPIRATORY DISTRESS SYNDROME

Un’altra complicanza delle infusioni di cristalloidi, è l’ARDS, dove la mortalità del paziente è stimata al 45%. L’ARDS può essere definita come una condizione acuta e progressiva, caratterizzata da ipossia e infiltrato polmonare bilaterale, riscontrabile attraverso RX o TAC; questa patologia è correlata ad infiammazione ed edema delle basse vie aeree, con una riduzione della compliance polmonare e l’accumulo di liquidi ricchi di proteine tra la parete alveolare e quella capillare, causata dall’aumento della permeabilità capillare, che crea un ostacolo allo scambio di gas.

L’incidenza dell’ARDS è elevata ma non sempre facile identificare: ci si basa soprattutto sull’ipossiemia severa (P/F minore di 200) associata ad infiltrati polmonari bilaterali all’RX del torace. I sintomi possono essere di vario grado, ed il paziente può manifestare tachipnea, dispnea, ipossiemia, fino all’insufficienza respiratoria grave.

La miglior gestione dell’ARDS è prevenirne la comparsa. I trattamenti chiave sono la ventilazione protettiva (con bassi volumi correnti ed elevate frequenze), che ha lo scopo di diminuire le pressioni ventilatorie, ridurre l’edema e preservare l’integrità della parete alveolare riducendo la risposta infiammatoria indotta. Naturalmente è fondamentale la tempestività dell’intervento e dell’inquadramento della criticità del paziente oltre ad una opportuna copertura antimicrobica.

ARDS E RESTRIZIONE INFUSIONALE

Poiché l’ARDS deriva anche da un sovraccarico di liquidi, si può dedurre che riducendo i volume infusi, si possa ridurre l’incidenza delle complicazioni, e la ricerca sulla correlazione tra un utilizzo parsimonioso delle infusione e l’incidenza della sindrome respiratoria, è solo agli inizi.

Uno studio randomizzato, su 1000 pazienti, ha dimostrato che una restrizione delle infusioni riduce marcatamente il numero medio di casi di ventilazione assistita.

Ad oggi non esistono protocolli standardizzati per la gestione della restrizione infusionale, ma la ricerca ha dimostrato che questo approccio migliora l’outcome del paziente traumatico, e suggerisce che la riduzione dei volumi infusi , durante la rianimazione, è correlabile ad una minore incidenza di ARDS.

IPOTENSIONE PERMISSIVA

L’ipotensione permissiva è un concetto emergente nella cura del trauma, dove si infondono liquidi per raggiungere dei target pressori  inferiori ai valori normali, escludendo i pazienti con una lesione celebrale traumatica, alfine di non creare un danno secondario dovuto all’ipoperfusione.

I soccorritori sanitari possono definire i target pressori in diversi metodi, poiché il concetto di “target” è correlabile alla perfusione d’organo. Alcuni possono basarsi sullo stato mentale (la perfusione cerebrale e quindi il livello di coscienza è un indicatore sensibilissimo di uno stato di shock), altri si basano esclusivamente sui valori di frequenza cardiaca e pressione arteriosa (parametri insidiosi), altri ancora sulla semplice clinica di base quale la palpabilità dei polsi o il colorito della cute. Normalmente si associa la presenza di un polso radiale a valori numerici di pressione arteriosa sistolica di almeno 70-90 mmHg.